Fondo Alberto Ronchey

La biblioteca di Alberto Ronchey (Roma, 1926–2010) è stata donata dalla famiglia nel 2010. Costituita da 3060 volumi, la raccolta, che rappresenta la quasi totalità della biblioteca originaria, riflette il percorso di studi, letture e ricerche del noto giornalista. Il 27 ottobre 2010 nell’Antico Monastero Santa Chiara ha avuto luogo una tavola rotonda dal titolo: Giornalismo e storia, con interventi di Luciano Canfora, filologo classico e storico; Antonio Carioti, saggista; Paolo Zaninoni, già editor di saggistica e narrativa straniera. Ospite della giornata di studi la professoressa Silvia Ronchey, figlia di Alberto Ronchey, storica, bizantinista, docente presso la Scuola Superiore di Studi Storici dell’Università di San Marino, autrice di numerose pubblicazioni di successo. Nella stessa giornata, proprio per sottolineare l’importanza di questo atto, e come particolare espressione di ringraziamento l’Eccellentissima Reggenza ha ricevuto in Udienza la prof.ssa Silvia Ronchey.

Alberto Ronchey é nato a Roma il 27 settembre 1926. Suo padre, antifascista schedato, aveva spesso a che fare con la polizia. Questa circostanza e la carestia degli anni di guerra rendevano precaria la sussistenza familiare. Mentre frequentava il liceo “Virgilio”, ove ebbe a maestro l’italianista Carlo Dionisotti, entrava in contatto con i gruppi antifascisti e scriveva per la stampa clandestina dei repubblicani a Roma già prima del 25 luglio 1943, oltreché durante l’occupazione tedesca. Passata la guerra su Roma, dopo il liceo avrebbe voluto dedicarsi agli studi storici, ma non lo consentiva la necessità di trovare subito lavoro. Iscritto alla facoltà di giurisprudenza poiché permetteva di non frequentare i corsi e dunque di lavorare, s’é laureato con una tesi in diritto costituzionale, relatore Gaspare Ambrosini (Le autonomie regionali e la Costituzione, Bocca, 1952).
Più tardi, sull’onda della militanza clandestina, è stato direttore della Voce Repubblicana. Ma in un giornale di partito non avendo mentalità di partito si sentiva stretto, scriveva sul Mondo di Mario Pannunzio. Sui rapporti di Pannunzio con Ronchey, ha scritto il primo direttore dell’Espresso Arrigo Benedetti: “Gli piaceva intrattenersi col giovane direttore della Voce Repubblicana poi diventato inviato di grandi quotidiani. E l’apprezzava, ce lo portava ad esempio, quasi volesse criticare se stesso e tutti noi suoi compagni d’un lungo dilettantesco eppure non inutile (non l’avessimo fatto, saremmo diversi) viaggio nella politica, per esercitare la quale ci mancavano appunto le qualità che lui notava in Ronchey, la prontezza nel valutare, oltre alle idee, le forze in presenza, e la capacità di distinguere tra le ideologie … Il letterato-giornalista e il giornalista-politico passeggiavano insieme a Fregene, parlavano di giornalismo, come dell’arte di cogliere il senso della sfuggente realtà, d’un giornalismo cioè materiato di cultura” (Il Mondo, 19 aprile 1973).
Scriveva poi sul Resto del Carlino, diretto da Giovanni Spadolini. Nel ’56, è passato al Corriere d’informazione di Gaetano Afeltra, come corrispondente politico da Roma, e insieme al Corriere della Sera di Mario Missiroli come articolista. Nel ’59, Giulio De Benedetti gli ha offerto di scegliere, tra Mosca e New York, un ufficio di corrispondenza per La Stampa di Torino. La scelta era obbligata per un giornalista malato di “mania di accertamento”, come si definisce Ronchey. Gli anni di Mosca, e della destalinizzazione, degli sputniki, delle sfide dell’Urss all’America li ricorda come i più formativi della sua esperienza. Quel periodo é stato oggetto dei suoi primi libri fortunati (La Russia del disgelo, Garzanti 1963, Russi e cinesi, Garzanti 1965).
Dopo Mosca, ha cominciato a viaggiare da inviato speciale. Anzitutto negli Stati Uniti (L’ultima America, Garzanti 1967). Ma l’inviato speciale deve avere la valigia pronta per qualsiasi destinazione, cosi ha conosciuto tutti i continenti. Nel Congo, gli é toccato d’essere il primo a entrare in Kindu dopo la strage del ’61, con una scorta di “caschi blu”, dell’Onu e i mitra spianati. Da quel periodo di viaggi fra l’Europa e l’Africa, l’India e il Giappone, ancora l ’ America e ancora l’Urss, sono nati altri libri (Atlante ideologico, Garzanti 1973, Ultime notizie dall’Urss, Garzanti 1974, La crisi americana, Garzanti 1975, Usa-Urss: i giganti malati, Rizzoli 1981).
La direzione de La Stampa e di Stampa Sera, dal ’68 al ‘73, é stata una pausa in quel viaggiare continuo. Ricorda con piacere d’avere assunto a La Stampa scrittori come Giovanni Arpino, Guido Ceronetti, Natalia Ginzburg, Fruttero e Lucentini, Leonardo Sciascia e giornalisti come Arrigo Levi, Giulio Anselmi, Andrea Barbato, Paolo Garimberti, Giampaolo Pansa, Gianfranco Piazzesi, Carlo Rossella, Lietta Tornabuoni, Vittorio Zucconi e di avere ingaggiato, in esclusiva italiana per La Stampa, il famoso disegnatore David Levine. E’ stato l’autore di espressioni che nel corrente lessico politico hanno avuto un’accoglienza diffusa (il ” fattore K” sul Pci, la “lottizzazione” sulla Rai, la “superpotenza sottosviluppata” sull’Urss).
Dal ’74 é stato a periodi alterni editorialista e inviato del Corriere della Sera e di Repubblica, dall′81 anche titolare della rubrica “II dubbio” su L’Espresso, poi collaboratore di Panorama. Ha insegnato sociologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha partecipato a opere collettive come la Storia delle idee politiche, economiche e sociali dell’Utet, diretta da Luigi Firpo, ha scritto le prefazioni alle ultime opere di Raymond Aron tradotte da Mondadori. Ha lavorato a lungo per la televisione, con documentari sull’Urss, sugli Stati Uniti, sulla Germania, sul Mezzogiorno d’Italia e su problemi generali socio-economici. Ha pubblicato anche vari saggi sulla politica italiana (Accadde in Italia, Garzanti 1977, Intervista sul non governo con Ugo La Malfa, Laterza 1977, Libro bianco sull’ ultima generazione, Garzanti 1978, Chi vincerà in Italia?, Mondadori 1982, Diverso parere, Mondadori 1983, Giornale contro, Garzanti 1984). I limiti del capitalismo é stato pubblicato da Rizzoli nel 1991. E’ stato ministro per i Beni Culturali e Ambientali dal giugno del 1992 al maggio del 1994, nei governi Amato e Ciampi. Nel momento cui lasciava l’incarico ministeriale, 1994, é stato chiamato come presidente al vertice della RCS Rizzoli-Corriere della Sera e nel Cda della Rizzoli Libri e Grandi Opere, quest’ultima in una non facile situazione di bilancio. Nel giugno 1998, consegnando la RCS a Cesare Romiti che ne diveniva il nuovo presidente, ha potuto tornare al mestiere di giornalista. Da quel momento infatti continua a scrivere con regolarità sul Corriere della Sera. Al suo primo editore, Garzanti, ha affidato tre libri, Fin di secolo in fax minore, 1995, Atlante italiano, 1997, Accadde a Roma nell’anno 2000, 1998. Rizzoli é l’editore di Il Fattore R, 2004, e Garzanti di Viaggi e paesaggi in terre lontane, 2007. Indro Montanelli, nel recensire il saggio Fin di secolo in fax minore, commentava sul Corriere “Credo che Ronchey sia il giornalista europeo che più a fondo ha scavato nei problemi del mondo, che meno ha concesso al sensazionalismo e al colore”.
[Giornalismo totale, Alberto Ronchey, Aragno 2010, pp. 233-236]