Fondo Young

ll 25 aprile 1998 la Biblioteca dell’Università degli Studi di San Marino presentò ufficialmente il Fondo Young sulla memoria e la mnemotecnica, acquistato nel 1991 dal collezionista americano Morris N. Young. Si tratta di una delle più ricche collezioni di libri, articoli e memorabilia sul tema della memoria e della mnemotecnica oggi esistenti.
Alla cerimonia di presentazione intervennero gli studiosi Umberto Eco (Istituto delle Discipline della Comunicazione, Università di Bologna), Lina Bolzoni (Scuola Normale Superiore, Pisa), Marcello Cesa-Bianchi (Istituto di Psicologia, Università di Milano).
Per l’occasione fu presente anche il Dott. Morris N. Young insieme alla sua consorte Chesley V. Young.
Per l’occasione furono esposti numerosi volumi della sezione antica del Fondo, che si compone di un manoscritto del secolo XV (Petrus de Rosenheim),197 libri pubblicati prima del 1800, tra cui dodici incunaboli.
Il primo catalogo della sezione antica del Fondo s’intitola “Biblioteca della memoria. Opere manoscritte e a stampa fino al 1800 appartenenti al Fondo Young sulla memoria e la mnemotecnica” (Guardigli Editore, 1998, rist. 2010) con l’introduzione di Umberto Eco e le schede redatte a cura di Paolo Pampaloni.

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Umberto Eco con il Phoenix seu Artificiosa memoria

Presentazione del Fondo

Catalogo – “Biblioteca della Memoria

La Biblioteca dell’Università degli Studi di San Marino ha ideato e pubblicato nel 1998, e ristampato nel 2010, un Catalogo della sezione antica del Fondo Young, la cui introduzione è stata scritta da Umberto Eco. Si riportano qui di seguito le sue parole relative ai due argomenti principali da lui individuati all’interno del catalogo stesso: le arti della memoria e la collezione Young.

In una civiltà in cui si sta lamentando che nessuno più impari poesie a memoria, e questa nostra facoltà sembra indebolirsi sino alla perdita collettiva della memoria storica, è difficile spiegare qualche strumento di civiltà sia stata l’arte della memoria.

Essa inizia in epoche remote, quando oratori e maestri non avevano a disposizione, non dico i nostri attuali strumenti di registrazione, ma neppure il libro a stampa, i manoscritti erano voluminosi e costosi, le tavolette o insufficienti o intrasportabili. Non rimaneva pertanto che affidarsi alla capacità di memorizzare una enorme quantità di dati (nomi, elenchi di concetti, argomenti) e aiutare la memoria, appunto, con delle tecniche speciali.

Dall’antichità classica (Aristotele, lo pseudo ciceroniano Rhetorica ad Herennium, Cicerone stesso) via via lungo il medioevo e per i secoli successivi si sviluppano così varie artes memoriae, dando vita a una serie di manuali della cui storia ci hanno parlato (e a queste opere rinvio) Paolo Rossi nel suo pionieristico Clavis Universalis (Milano, Ricciardi 1960 – ora Bologna, Mulino, 1983) e nel 1966 Frances Yates nel suo L’arte della memoria (Torino, Einaudi, 1972).

Johannes Spangerberg nel suo Libellus Artificiosae Memoriae (naturalmente presente in questo catalogo) ricordava che si dimentica per corruzione, per diminuzione (vecchiezza e malattie) e per ablazione di organi cerebrali. Ora le mnemotecniche non potevano ovviare alla diminuzione e all’ablazione, ma potevano offrire precetti per sopperire alla corruzione, o “dimenticanza delle specie passate”.

In genere una mnemotecnica consigliava di disegnare nella propria mente una qualsiasi struttura spaziale (palazzo, città, territorio) che permettesse di discriminare tra divisioni e settori diversi. Questi settori (strade, piazze, corridoi, stanze, scale) erano i “luoghi” in cui venivano collocate delle immagini facili da memorizzare (per esempio oggetti noti, oppure al contrario cose, creature o eventi sorprendenti, come statue che rappresentassero fatti terribili e mostruosi, tali da non poter essere facilmente dimenticati). A questo punto si trattava di assegnare a ciascuna di queste figure i nomi o i concetti che si volevano memorizzare (per esempio l’immagine di una falce deve rinviare ai problemi dell’agricoltura, o l’immagine di un Asino, di un Elefante e di un Rinoceronte dovevano ricordare l’aria, AER).

Alfabeti

Esposta così, la tecnica non rende ragione del patrimonio di architetture bizzarre, paesaggi onirici, immagini stranite con cui la tradizione delle arti della memoria ha popolato pagine e pagine prima di fantasie verbali, poi di immagini miniate e infine, dopo l’invenzione della stampa, di incisioni surreali. Talché, quando ormai l’esistenza del libro poteva permettere modi meno faticosi di immagazzinamento del sapere (ma ormai il saper ricordare era diventato puntiglio intellettuale per l’uomo di cultura), tra rinascimento e barocco le mnemotecniche, da puri artifici rimemorativi, diventano rappresentazioni del sapere universale, enciclopedie virtuali o “teatri del mondo”(questo accade per esempio con il progetto di Giulio Camillo Delminio per un Teatro della Memoria, e con Giordano Bruno). In tali sviluppi sia l’apparato delle immagini che aiutano a ricordare che il contenuto ricordato e la correlazione tra i due, costituiscono una rappresentazione dell’universo. Così le mnemotecniche diventano strumento di una visione del mondo che indaga sui misteriosi rapporti di simpatia e somiglianza che intercorrono tra le cose terrene e quelle celesti, tra mondi visibile e mondo invisibile, vanno a confluire nel sapere ermetico e cabalistico, in parte perdono la loro funzione pratica ma acquistano una valenza metafisica, religiosa e filosofica – e sin dal Rinascimento le artes memoriaenon si presentano più come semplice strumento pratico ma come silloge del sapere, imago mundi, e partono dal principio che il mondo stesso sia una scrittura divina e che gli artifici mnemotecnici non facciano altro che riprodurre la “scrittura” cosmica originale.

Se non si comprende questo punto sarà difficile accettare l’idea che questi sistemi di istruzioni permettessero davvero di ricordare qualcosa, e non confondessero piuttosto la mente facendo baluginare un intrico di simboli e un labirinto di analogie – e già nel Rinascimento Heinrich Cornelius Agrippa lamentava che tali rappresentazioni universali potessero condurre il mnemotecnico sull’orlo della follia. Ma questi trattati non miravano più a sopperire ai difetti della memoria, bensì a spingere l’immaginazione verso nuovi (o antichissimi) orizzonti di conoscenza. Oppure, come avviene con Comenio, a fare nascere nuove tecniche educative.

Illustrazioni

Questo per dire quale sia il senso di tanti di questi libelli, sovente dall’apparenza dimessa, e il oro valore per gli storici della cultura (o delle bizzarrie culturali quando, avvicinandosi ai tempi nostri, esse diventano pura testimonianza di un ideale duro a morire).

Che esistesse un appassionato della memoria, i collezionisti di libri antichi e gli studiosi interessati lo sapevano sin dal 1961, quando era apparsa, ad opera di Morris N. Young, una Bibliography of memory (Philadelphia-New York, Clinton Company): 430 pagine di riferimenti bibliografici, che non consideravano solo la tradizione delle mnemotecniche ma una quantità immensa di opere sulla memoria, anche dal punto di vista psicologico, neurologico, pedagogico, cibernetico. Dal risvolto di copertina si apprendeva che il Dottor Young, un oftalmologo, aveva anche radunato la più vasta collezione privata di opere e documenti vari sulla memoria che esistesse al mondo.

Solo verso la fine degli anni ottanta si era appreso nell’ambiente degli antiquari che Morris Young aveva deciso di vendere, la sua collezione. Siccome si stava pensando di costituire un qualche fondo specializzato accanto al Centro di Studi Semiotici e Cognitivi della neonata Università di San Marino, nel corso di un viaggio a New York avevo visitato il dottor Young, ospitale, entusiasta e amabile quanto sua moglie Chesley. E avevo percorso stanze abitate da volumi antichi, opere moderne, riviste, documenti di vario tipo, e persino cosiddetti “memorabilia”, vale a dire oggetti regalo, gadgets, giochi, artifici prestidigitatori, cimeli di ogni genere, che in qualsiasi modo fossero legati alla memoria, e all’atto del ricordare. Avevo altresì appreso che Morris e Chesley Young avevano in vita loro assemblato diverse collezioni, che via via lasciavano in altre mani quando si rendevano conto che l’opera era per così dire compiuta, e cioè che su quel tema avevano raccolto tutto quello che c’era da raccogliere. Ma la “Morris N. Young and Chesley V. Young Library of Memory and Mnemonics” era l’opera a cui i due coniugi avevano dedicato circa quarant’anni della loro vita, e a cui erano più affezionati. Salvo che erano arrivati al punto che il loro appartamento sulla Fifth Avenue, a due passi da Washington Square, e un altro appartamento-magazzino, non bastavano più a contenere (e quindi a classificare in modo ordinato e a rendere disponibili a studiosi e appassionati) i loro tesori. Nel soggiorno della Fifth Avenue si potevano sfogliare le opere di maggior pregio, ma il grosso della collezione faceva assomigliare l’altro appartamento alla Biblioteca di Babele di Borges.

Di qui l’inizio di una trattativa. Dapprima avevo fatto valutare il loro ultimo catalogo da uno dei più celebri librai antiquari americani, Kraus, poi erano iniziati i contatti tra la Biblioteca dell’Università di San Marino e un libraio antiquario inglese, Robin Halwas, a cui il dottor Young aveva affidato il compito di trovare un acquirente prestigioso per la raccolta, che ne potesse garantire la conservazione e la pubblica disponibilità.

Da quel momento non ho più seguito le trattative che, iniziate nel 1988 si sono concluse nel 1991. Il Fondo contiene un manoscritto medievale e alcuni manoscritti più tardi, 197 libri pubblicati prima del 1800 (tra cui 11 incunaboli), circa 2000 monografie di data posteriore, 2000 articoli, 500 pezzi di grafica e memorabilia, corrispondenza con studiosi della memoria e pressochè 12.000 schede bibliografiche sull’argomento. Da quando è arrivato sulle pendici del Titano ci è voluto del tempo per allogarlo in modo dignitoso, e finalmente ne è stata affidato il controllo e la schedatura a un altro esperto di libri antichi, Paolo Pampaloni (se vi è ancora in circolazione sul mercato una rara mnemotecnica, si può essere sicuri che prima o poi passerà per le sue mani), mentre si è iniziata l’opera di restauro di alcune legature periclitanti, in particolare per salvaguardare meglio le opere di maggior interesse per i bibliofili.

Copertine
Copertine

Il catalogo che segue costituisce il risultato della collazione rigorosa di tutto il materiale librario anteriore al 1800. Le opere qui catalogate, e tutte riguardanti le arti della memoria, costituiscono la parte più rara del Fondo, certamente la raccolta mnemotecnica più ricca esistente in Europa (alcuni sostengono che il suo unico concorrente sia la Beinecke Library della Yale University, ma è materia di dibattito, e solo per quel che riguarda la parte pre-ottocentesca).

Presento questo catalogo con soddisfazione, non tanto in quanto iniziatore della vicenda (ché si era trattato di contributo quasi casuale), quanto piuttosto come amante di libri antichi e studioso di semiotica. In questa duplice qualità non posso che formulare un auspicio, anzi due: che il Fondo venga visitato da studiosi della materia, che non potrebbero trovare altrove una raccolta così completa, e che possa col tempo arricchirsi. L’universo dei trattati mnemotecnici, a lungo negletto, è così misterioso da riservare ancora qualche sorpresa. Forse qualche arte della memoria deve ancora essere sottratta all’oblio.